Rapporto GENITORE-FIGLIO-ALLENATORE
- Spesso succede che alcuni Ragazzi, anche bravi, che hanno vissuto sin dai primi passi calcistici la culla dei complimenti perpetui dei genitori, parenti, e amici (a volte anche da dirigenti), vivono idolatrati all’inverosimile. Il risultato? La totale convinzione del bambino, poi ragazzo, di essere “INVINCIBILE”, di avere mezzi tecnici che lo possono proiettare molto presto nel calcio che conta: basta aspettare, perché prima o poi il futuro già disegnato si tramuterà in realtà. Una situazione pericolosa che a volte porta la giovane psiche del ragazzo a dimenticare che per raggiungere il traguardo ci vuole lo sforzo, la fatica, il sacrificio: nessuno regala niente. Il sentirsi superiore ai compagni ed essenziale per il gruppo costituisce un’errata e pericolosa impostazione della figura del ragazzo. Questo un allenatore lo sa.
- nIl problema sorge quando il genitore si convince o convince che suo figlio ha mezzi tecnici o condizioni fisiche superiori ai loro compagni; molti genitori vivono con il desiderio che i propri figli debbano a tutti i costi diventare quello che essi non sono mai diventati in gioventù. Alcuni ragazzi che soggiogati da queste convinzioni si trovano smarriti alla prima esclusione per scelta tecnica, persi, non trovando spiegazione alcuna e per un po’ si trovano isolati, finendo in molti casi con l’abbandonare l’attività sportiva con probabili sintomi di depressione. Altri, più sportivamente “educati”, vivono il calcio serenamente per come deve essere vissuto; quando i genitori non mettono pressione al figlio, ovvero non gli fanno pesare la maglia dal numero 12 in poi, anche il ragazzo saprà vivere la realtà dell’esclusione, la sostituzione nel modo in cui deve essere vissuta, ovvero con delusione ma non con rassegnazione, anzi.
- nE sono a dir poco inquietanti e ridicole le antipatie che si creano tra nuclei familiari ai bordi del campo dipendenti unicamente dal fatto che un ragazzo sia più titolare o meno rispetto ad un altro. A volte, sembra paradossale, sono solo i genitori a soffrire la panchina del figlio, quando questi se ne sta tranquillamente in panchina a incitare i compagni vivendo lo sport come deve essere vissuto.
- nSenza voler fare di tutta l’erba un fascio intendo affermare che vi sono anche ragazzini educati a saper vincere e perdere, a non esaltarsi per le vittorie, ma anche a non abbattersi per delle sconfitte, a dirigere le esclusioni e a non sentirsi onnipotente.